Guerriglia in Germania: colloquio sulla storia della RAF

                                                                        (il Manifesto 22.05.1975)
                       StefanWisniewski: 

Fummo così terribilmente conseguenti.

Un colloquio sulla storia della RAF

 ID Berlin 2003, TAZ 11/10/97  (tageszeitung, un quotidiano di sinistra berlinese)

Premessa 

A 20 anni dall’’autunno 1977 c’è stato uno spettacolo mediatico mai visto. Su tutti i canali televisivi, con i programmi radio, in inserti speciali ed una serie di giornali di gran nome sono trattati gli avvenimenti concernenti il sequestro Schleyer, i morti di Stammheim e l’azione del GSG9[1] a Mogadiscio. Centinaia di giornalisti e commentatori servono negli ultimi mesi  l’interesse pubblico senza che siano stati  resi noti fatti nuovi.
Nella seguente intervista parla uno che al sequestro Schleyer ci ha partecipato, raccontando quegli avvenimenti del 1977.
Stefan Wisniewski apparteneva al commando RAF Siegfried Hausner. Nel maggio 1978 fu arrestato a Parigi ed estradato in Germania. Nel 1981 fu condannato all’ergastolo per il sequestro e l’assassinio di Schleyer. Non ha rilasciato alcuna dichiarazione alle autorità. Nell’’ottobre 1997 poté rilasciare una libera  intervista a due giornalisti TAZ Petra Groll e Jürgen Gottschlich. Ripubblichiamo sotto forma di libro dato che gli articoli di giornale sono spesso inghiottiti rapidamente dalla frenesia del mercato. Prima di tutto perché il testo era pensato come un contributo di discussione e, in effetti, lo è stato.[2]
Stefan Wisniewski ha acconsentito alla ripubblicazione, nonostante le condizioni dell’intervista    permettessero solo un riferimento limitato al dibattito di allora e assumessero quindi solo un carattere temporaneo.
La discussione è tra i documenti più importanti sugli avvenimenti del 1977. C’e una sostanziale differenza con il tono del contemporaneo dibattito sui mass  media che si distingue per l’assenza di testimonianze scomode dei protagonisti. Così nell’’ assai pompato film d’Erich Breloer “Todesspiel” non è interpellato nessuno dei prigionieri ancora in galera. Ex sinistresi del 68 rimuginano sulla RAF ed ignorano semplicemente che nella prima metà degli anni ’70 molta gente considerava  la lotta armata una possibile  strategia politica. Al contrario delle liquidazioni  complessive e delle  sparate dei sedicenti esperti di terrorismo, Stefan Wisniewski descrive insistente, sobrio, ed autocritico gli sviluppi della sua biografia politica e ci offre uno sguardo sulla RAF di allora.                                             

Fummo così terribilmente conseguenti

L’anno 1977 fu l’anno del confronto tra la RAF e lo stato. Quando avete concentrato tutto il vostro potenziale sulla liberazione dei prigionieri, loro erano dentro  solo da un paio d’ anni (5/7).

 Stefan Wisniewski La prima azione armata della RAF, quasi la sua nascita, fu (ndr il 14 marzo) 1970, con la liberazione di Andreas Baader che aveva pochi anni dietro e davanti a se.(aveva 3 anni   ed era in carcere da 1 ndr). Dopo l’esperienza dei 4/5 anni prima del 1977, abbiamo detto: così non può più andare avanti. Ulrike Meinhof era morta, Holger Meins era morto, Katharina Hammerschmidt era morta ed anche Siegfried Hausner era morto[3].

 Sei stato condannato al massimo della pena per questo paese, all’ergastolo, ed hai scontato quasi 20 anni.

 Ciononostante non mi sono perso la rivoluzione. Col senno d’oggi si deve naturalmente analizzare “il tempo della nostra impazienza.”

 Com’è la situazione ora?

La galera non ha naturalmente alcuna prospettiva all’infuori di essere detenuti qui senza senso. 

Come sono i tuoi contatti verso l’esterno oltre alla famiglia? Come t’informi?

Nel corso degli anni, attraverso le visite, si sono sviluppati contatti, con tutte le varie differenze politiche. Alcuni di noi sono stati nel frattempo rilasciati e sono giunte nuove persone. Molto di quello che fanno, lo posso difficilmente seguire e condividere: aver bambini, vederli crescere e giocare, l’eterna lotta esistenziale tra vita e morte che si gioca fuori le mura….leggo molto, soprattutto libri. Nei primi 10 anni avevo il divieto tv, ma non mi sono perso molto, tranne alcuni particolari: la  mia posta era registrata presso il tribunale e ci sono sempre dispositivi di blocco. Vivo e maledico la galera come gli altri prigionieri, lavoro da 2 mesi dopo che per tutti questi anni mi è stato vietato.

HAI SEMPRE LOTTATO PER IL CARCERE NORMALE.

Il concetto l’ho sempre rifiutato, perché non credo che questo penitenziario sia normale, neppure per gli altri prigionieri. Ma ho visto sempre la galera come un terreno sociale, del quale non mi volevo isolare. 

La RAF ha invece sempre richiesto la riunione dei prigionieri politici e non l’integrazione nel carcere normale.

Inizialmente anchela RAFha tentato la riunione con gli altri prigionieri. C’erano altresì attese di un movimento rivoluzionario tra i prigionieri. Il fatto è che sin dall’inizio furono prese queste disposizioni d’isolamento contro di noi. Poi iniziarono i processi e si tentò di utilizzarli uniti ed in maniera politica. Era ed è legittimo chiedere una riunione dei prigionieri politici per discutere assieme e rompere l’isolamento carcerario.

Questo l’abbiamo letto dai primi comunicati. Ma la linea cambiò velocemente: tutto si riferì allo Status di prigionieri di guerra.

Quando questo è stato assolutizzato come linea, ho detto: va bene possiamo politicamente discuterlo, ma io posso imboccare anche un’altra strada politica. Se non ce la facciamo qui a riunirci con altri prigionieri, come possiamo farlo poi fuori con la gente. Qui, dove essi sono rinchiusi, imparano davvero quello che è il sistema. Per questo non è che ci voglia un indagine sociologica, per quanto un’analisi della nuova composizione e struttura delle carceri sarebbe più che sensata.

Più della metà dei prigionieri sono stranieri, inoltre molti di loro sono minacciati di trasferimento verso paesi dove si pratica la tortura.

 E’ a questo punto che si è giunti ad una rottura tra te e i prigionieri della RAF?

Io non la vissi né l’intesi come una rottura. La cosa prese l’avvio con il mio processo nel 1981, era il primo processo per il rapimento Schleyer. 

Volevo condurre il mio processo in maniera offensiva. 

 Fino allora ero stato in carcere preventivo. Avevo già due processi aperti: il primo per aver dato una puntata nel naso ad un giudice, fu subito dopo la mia estradizione dalla Francia, quando interruppe provocatoriamente una telefonata con il mio avvocato, dopo che il giorno prima, all’aeroporto d’Orly, mi era stato impedito di parlare con un avvocato francese. 

La tua estradizione fu fulminea, probabilmente perché con l’ondata antitedesca del tempo, si sarebbe dovuto fare i conti con la possibilità dell’asilo politico.

Gia si svolse tutto su binari polizieschi. Anche il giudice riconobbe che non tutto si era svolto in maniera regolare. Ma non era più importante. L’importante era che adesso mi avevano. Per il cazzotto al giudice federale mi hanno dato 7 mesi, che mi sono stati aggiunti ai 20 anni della condanna ed altri 6 anni mi sono stati aggiunti per un tentativo di fuga e questa condanna è servita a dimostrare la mia pericolosità. Lo sfondo di questa vicenda giudiziaria era che in mano non avevano quasi nulla  contro di me. Fu così tentato di dimostrare la mia pericolosità con il processo Schleyer. In ogni caso restai isolato 3 anni prima che iniziasse il processo. I prigionieri progettavano allora uno sciopero della fame.  Visto che la stampa venne al processo dovevo leggere quasi d’apertura la dichiarazione d’inizio di sciopero della fame. Là ho detto basta. Se siamo in sciopero della fame, il processo diventa una contrapposizione attorno allo sciopero della fame. Io avevo l’interesse però a condurre il processo in maniera offensiva. Volevo la contrapposizione sul 1977.[4]

I prigionieri hanno iniziato lo stesso lo sciopero della fame.

Avevano trovato un’altra via per rendere pubblico lo sciopero della fame. Poi successe ciò che doveva succedere. Le  questioni politiche in tribunale e l’opinione pubblica s’inasprì in maniera crescente. Le domande erano:  I prigionieri possono sopravvivere? Chi vuole riunirsi con chi ? ecc. Per fortuna c’erano anche molti prigionieri sociali con i quali in parte abbiamo condiviso le richieste dello sciopero della fame ed ai quali potevo riferirmi, quando vi partecipai per 6 settimane, con richieste che avevo maturato dalla mia esperienza concreta.

Sigurd Debus è morto durante questo sciopero della fame attraverso la tortura dell’alimentazione forzata. Poi in tribunale ho oltrepassato poco i rituali usuali del confronto con il senato.

Significa quindi che ti sei congedato dalla RAF nel 1981.

Rinnegamento e sottomissione non fanno per me. Ero alla ricerca d’altre possibilità, dopo che avevamo impostato la nostra sfida allo stato sui prigionieri, il nostro punto debole. Questo errore madornale non volevo rifarlo in nessun caso da prigioniero.

Ma la storia della RAF è proseguita con diversi morti.

Dovresti domandarlo agli estensori e fautori della linea del fronte antimperialista alla quale non appartengo. Il mio passo fu un ritorno alle radici, un “Back to the Roots”,  a tutte le questioni che ci hanno fatto diventare incazzati e militanti.

Come sei giunto alla RAF?

Beh, prima devo raccontare come sono giunto al movimento antiautoritario. …

Sono nato negli anni50 inun idillico paesino della foresta nera, figlio di un lavoratore coatto polacco. Nessuna storia spettacolare, in Polonia sarebbe stata una storia come mille, ma in questo paesino mia madre mi inculcava: “Non raccontare nulla della storia di tuo padre, altrimenti avrai noie” nel paese c’erano parecchi ex SS o SA e conniventi che contavano come cittadini rinomati. Mio padre è sopravvissuto solo 8 anni dopo la fine della guerra all’annientamento dei campi di concentramento, io ero allora un bambino e mia sorella era in giro. Mia madre voleva educarmi senza odio, ma anche la prospettiva di tacere non era praticabile. Per vari motivi mi sono ritrovato in un centro d’accoglienza dove erano ficcati i bambini “difficili da educare”. La maggioranza veniva dagli strati infimi, molti quelli di colore, bambini d’ex GI (soldati USA) , Sinti ed anche un ragazzo d’origini polacche. Dovevamo avere delle lezioni con dei maestri che ci trattavano con discorsi del tipo “Con voi sotto Hitler avremmo fatto un breve processo”. Sono scappato 7 volte in un anno da là e talvolta fui ripreso dopo avventurose cacce da parte della polizia. Quando me la misi alle spalle anche con l’aiuto di mia madre, sono andato ad Amburgo per imbarcarmi. Non era per niente romantico, là ho visto la miseria del terzo mondo, quando nei porti africani venivano gli uomini ad offrire le loro mogli in cambio d’avanzi di cibo. Chi non se ne vergogna, dovrebbe essere dato in pasto ai pescecani. Poi sono rimasto ad Amburgo, ho lavorato e fatto una scuola serale.

Quanti anni avevi?

Avevo appena 20 anni. In ognuna di queste fasi avrei potuto intraprendere un percorso diverso. Per me fu decisivo il movimento antiautoritario e le nuove forme di vita. le comuni, Gli Stones, i capelloni, questo esercitò un’enorme attrazione su di me. Si aggiunse il socialismo e le teorie rivoluzionarie,  prima di tutto il senso del diritto nato dalla  rivolta. Entrai nel Rote Hilfe (Soccorso Rosso), fui all’occupazione della Eckhoffstrasse una casa della Neuen Heimat [5]. Eravamo sì militanti, ma abbiamo anche fatto lavoro sociale per senza tetto e assistenza alunni. Polizia e stampa Springer[6], alcuni si sono fatti un anno di carcere, e fu solo un caso che io non fossi tra questi. Allora avevamo davvero l’impressione di poter cambiare qualcosa nonostante la ritirata dei 68ini si avvertiva già da lungo tempo e l’apparato repressivo colpiva sempre più duro.

In questo situazionela RAFci sembrò credibile, giacché mettevano in gioco la loro vita per un ideale. Quando le prime persone furono arrestate ci fu un’incredibile campagna diffamatoria. Già da questo ci sembrò interessante, visto com’era diffamata. Ci furono molti differenti stimoli, che mi portarono ad impegnarmi conla RAF. Sonoandato così a Berlino.

Ero anch’io nel 1974 a Berlino e ho preso per la prima volta vere mazzate alla manifestazione dopo la morte di  Holger Meins. Molti hanno vissuto questa situazione ma pochissimi sono andati nella RAF.

Là avremmo potuto incontrarci. In quel periodo ero nel centro giovanile di Potsdamerstrasse, per via dello sciopero della fame. Avevamo mobilitato tutti, da Amnesty International al parroco Albertz, tutto ciò che ci sembrava utile. Stavo tenendo un discorso lì, quando arrivò la notizia “Holger è morto”. A me –e non solo a me- sono venute le lacrime agli occhi. Alcuni di quelli che erano i maggiori critici della RAF si sono messi a fabbricare molotov, scendendo poi sulla Kudamm[7].

“Se loro iniziano ad ammazzare o a lasciar crepare i prigionieri -pensavamo-  allora deve succedere qualcos’ altro”. Tutto ciò che avevo fatto fino allora per i prigionieri, mi apparve privo d’effetti. Così non si poteva andare avanti. Partecipare all’organizzazione del funerale di Holger Meins fu la mia ultima azione politica legale. Quell’avvenimento fu per me come varcare una soglia.

Allora avevo anche contatti con la 2 Giugno ma qualcuno non vuoto la cassetta morta della posta [8] o mi dissero di una sbagliata, così il contatto non ebbe luogo.

Sarebbero stati più adatti per te.

Già, me l’hanno già detto in tanti, ma le cose son andate in altro modo[9].

Forse non era importante?

Nella 2 Giugno non c’erano solo lavoratori e nella RAF non solo baby borghesi; questo vorrei precisarlo. Quando ero a Berlino, ancora legale, ho visitato le donne del Movimento 2 Giugno e della RAF. Loro avevano i loro contrasti, ma per me non significava molto.

Conoscevi la differenza tra i due gruppi?

Se ho visitato Ina Siepmann del Movimento 2 Giugno o Ingrid Schubert della RAF, non importava. La sola cosa importante era che qualcuno del movimento stava dentro e non potevamo né volevamo piantarlo in asso.

Certo che conoscevo le differenze tra i due gruppi! Ma allora le teorie non erano ancora state messe in pratica. Il sequestro Lorenz[10] e l’azione di Stoccolma non erano ancora avvenute. Oggi sarebbe molto interessante indagare gli sviluppi  delle teorie. Allo sganciamento della RAF dai movimenti sociali con i suoi disastrosi effetti ci si arriverà col ‘77. Il Movimento 2 Giugno, che basò la sua forza e impatto oratorio sull’interazione con il suo milieu sociale, aveva in questa relazione sicuramente carte migliori da giocare. Quando il suo ambito sociale di riferimento e la sua base andarono progressivamente perdendosi o si rivolsero a nuovi temi, una parte di loro non rimase immune da errori come noi. Si può dire lo stesso per RZ e Rote Zora[11] che hanno investigato le nostre debolezze in profondità e che sono rimasti con la loro struttura a fianco del movimento. Nemmeno la loro ala internazionale fu risparmiata dal disastro.

All’inizio degli anni ’70 le azioni della RAF si riferivano alla guerra in Vietnam.

C’era un consenso all’interno del movimento rimanente del 1968. Se una rivoluzione avverrà qui, deve avere un carattere antimperialista e considerare i movimenti nel terzo mondo. Senza il Vietnam, senza lo sviluppo nel terzo mondo,la RAFnon sarebbe diventata ciò che è diventata. Le nostre speranze erano le Black Panther e i Tupamaros. 

Però vi siete velocemente concentrati sulla questione di come tirar fuori i prigionieri. 

Abbiamo anche riflettuto sulle possibilità che c’erano in altri settori. Ma essendo un piccolo gruppo, abbiamo pensato che saremmo diventati forti se avessimo raggiunto qualcosa su questo punto. La nostra valutazione obiettiva era che stato e capitale dominavano così tanto la situazione attuale che il movimento che era scoppiato nel 67/68 non poteva più sopravvivere. Sulla questione dei prigionieri volevamo comunicare qualcosa allo stato: Il suo carattere e la sua storia.

A chi volevate comunicarlo?

Non eravamo orientati al proletariato industriale, come i gruppi ML. Questi pensieri li abbiamo respinti con l’analisi sull’aristocrazia operaia nella metropoli. Per noi il soggetto rivoluzionario non era stimabile economicamente. Ci siamo detti: chiunque lotta può essere rivoluzionario. Dato che abbiamo agito in maniera più diffusa, non avevamo il correttivo necessario di una base sociale. Questo valeva allora per le BR che erano ben radicate in fabbrica.

L’Italia era differente

 L’Italia era un’altra cosa; anche l’Irlanda lo era, ma ci siamo in ogni modo visti in relazione a loro. Naturalmente, se fossimo stati in Italia, avremmo fatto come le Brigate Rosse; questo lo abbiamo detto già dai primi testi. In Italia c’era stata una grossa resistenza, alla quale si era collegata la storia dei cristianodemocratici. Qui il fascismo aveva distrutto ciò che rimaneva del movimento operaio. Qui c’era un altro tipo di continuità che andava in primo luogo spezzata.

Il nostro appoggio internazionale si basava sul fatto che attraverso l’assedio della campagna ai danni della città, si potesse incrinare il “modello Germania” così che potessimo ancorarci ed aggrapparci socialmente a questa fessura ad una prospettiva di lunga durata.

Come volevate legittimarvi, con le condizioni qui o col movimento mondiale?

Possibilmente con entrambi, ma questa domanda non è risolta strategicamente fino ad oggi. È un dato di fatto che viviamo in una metropoli, con un’enorme ricchezza e privilegio, mentre in altri paesi regna la miseria e l’approccio per un movimento rivoluzionario è del tutto differente. Oggi si aggiungono le “isole del terzo mondo” nelle metropoli e le regioni povere nell’’est.  Per entrambe queste realtà, la soluzione della questione sociale è diventata una questione di sopravvivenza che deve far esplodere i limiti dello stato nazionale e allo stesso tempo lasciar svanire ogni astratto internazionalismo. Se ci si pone in questa relazione internazionale, c’è un grosso pericolo di perdere i contatti sociali e i punti critici d’attrito così come di sottrarsi ad ogni critica rifacendosi esclusivamente alle condizioni internazionali.

Così mi apparvero anche le discussioni dei gruppi del Soccorso Rosso che vissi a metà anni ’70 nel mio ambiente di Kreuzberg.

Dovremmo domandare ai compagni/e berlinesi. In quel periodo conoscevo il RH di Amburgo.là ci sono stati molti approcci diversi. Tutto ciò non ha portato a quello che comportava riguardo a  utopie sociali; oggi mi accorgo che molti singoli gruppi che si occupano delle prigioni sono portati avanti da organizzazioni di destra che tentano di stabilire un potenziale razzista. Con loro mi sono trovato a confronto più volte e  in diversi penitenziari. Questo è un terreno che il movimento ha abbandonato; ed anchela TAZ, che allora aveva una pagina sul carcere. 

Non contestiamo che allora fosse, ed anche oggi lo sarebbe, un lavoro sensato. Allora avevamo, però l’impressione che quelli che si chiamano avanguardia non parlavano per nulla dei temi che c’interessavano.

Se ne parlò, per quanto fosse possibile uno scambio con i compagni nella legalità, senza notoriamente accettare questi temi nella nostra prassi. Mi spingerei più oltre nella riflessione introspettiva critica: La questione dei prigionieri fu notevolmente moralizzata da una parte dei prigionieri e dai comitati anti tortura, in questo modo abbiamo raffreddato molti della sinistra che si confrontavano con noi in maniera critica ma solidale.   Peter Brückner ed altri furono offesi, ci sono molte cose sgradevoli da rivedere. Il problema non finiva lì, perchè c’era, parallelo alla ritirata dei 68, una massiccia desolidarizzazione.     Questo ebbe un effetto boomerang: Chi ha fatto finta di non vedere le condizioni dei prigionieri nei bracci d’isolamento e non se n’assume le responsabilità, per esempio attraverso una posizione propria, non si deve meravigliare che la questione dei prigionieri abbia raggiunto il livello militare nell’’autunno 1977. 

“Volevamo continuare a portare i principi rivoluzionari”

Come gia detto, la nostra situazione era differente. Eravamo caratterizzati dal crollo della rivolta del 68. Volevamo continuare a portarne i principi rivoluzionari e l’orizzonte di nuovi movimenti sociali era per noi non ancora raggiungibile. Il significato del movimento anti nucleare l’abbiamo a lungo sottovalutato o l’abbiamo considerato solo dal punto di vista della loro militanza contro lo stato. Forse ancora più pesante è stata la mancanza di confronto con il movimento femminista. Di esso non vorrei cercare scuse. Anche se ci fossimo dissolti nel movimento, cosa che non sarebbe stata necessariamente sensata, la questione dei prigionieri sarebbe rimasta. Erano dentro anche per la storia comune di movimento e proprio per questo erano stati seppelliti nei bracci speciali per anni e anni. Volevamo tirar fuori i prigionieri e incentrare in questo la sfida col potere. Proprio dalla sconfitta di Stoccolma si è sviluppata l’idea che si dovesse fare un’azione più precisa. 

Quindi l’azione Schleyer fu un risultato diretto del riconoscere Stoccolma come un errore?

Stoccolma era la strada sbagliata. I risultati l’ hanno mostrato: 4 morti, due per parte, nessuno era uscito, al contrario l’escalation era ancora più aspra. 

La vostra analisi era che l’occupazione di un’ambasciata non basta per costringere al rilascio dei prigionieri? 

Che un’ambasciata non basta e che dobbiamo cogliere politicamente un punto che risulti a loro sfavore se non cedono.

 In questa riflessione ci fu già concretamente la persona di Schleyer?

No, no, non andò così rapida la cosa. Non dovete immaginarvi che un’azione venga subito dopo l’altra. Prima che entrassi in clandestinità, avevo anch’io altre aspettative su cos’èla RAFe cos’è possibile. Quand’ero ancora legale sentivo parlare molte persone di come volevano sostenerela RAF. Poiquando io stesso fui in clandestinità mi resi conto che le cose non andavano per niente in quel modo. Dopo Stoccolma, mi trovavo quasi di fronte al niente. C’erano solo un paio di Marchi e due pistole che non funzionavano neppure bene.

Come siete arrivati a Schleyer?

Schleyer per come si presentava nell’’opinione pubblica, nelle interviste ed in tutte le comparse, era semplicemente una calamita. Un pensiero ovvio. Ci furono anche altre ipotesi, per esempio Filbinger il ministro (della giustizia?) del Baden Württemberg. Il suo passato come giudice nazista della marina non era ancora pubblicamente noto. Era però noto che, dopo l’era nazista, era diventato indisturbato quasi un padre della patria. Nel suo caso però abbiamo visto che avremmo dovuto assaltare il consiglio regionale (Landtag) Naturalmente non se ne fece nulla. Così rimase solo Schleyer. Per il momento, subito dopo Stoccolma, erano solo riflessioni; il gruppo non si era ancora costituito. Due gruppi che non si riferivano alla RAF si fusero. Non c’erano ancora piani concreti, ma c’era una direzione e volevamo, consapevolmente in maniera diversa da Stoccolma, chiarire con questa persona chi siamo, da dove veniamo e per cosa lottiamo esattamente.

Pensavate che con Schleyer Schmidt non sarebbe rimasto della linea dura e che lo avrebbe scambiato?

No, questa riflessione non era andata così avanti. Prima abbiamo visto Schleyer, perché in lui si concentrava tutto quello contro di cui noi tutti, la sinistra si era ribellata. Mi ricordo bene di tutta la storia di Schleyer nello Stern del 1974. Allora non si trattò solo della sua storia nazista ma, prima di tutto, di questa mostruosità, di come ha inteso come un’ininterrotta transizione la sua carriera successiva e la sua ascesa al BDI e BDA[12] come capo politico del capitale. Di tutto ciò si è vantato. Non era certo un’acrobazia arrivare a lui.

Voi però non avete detto “ Rapiamo Schleyer per mostrare la continuità del fascismo nella RFT. In Italia c’erano azioni chiare. Le BR hanno tentato di attaccare nel contesto delle attuali lotte lavorative: hanno rapito manager rilasciandoli a brache calate davanti alla fabbrica al cambio di turno. Questo parlava da solo.

Anche noi abbiamo sempre affermato che le azioni migliori sono quelle che parlano da sole. Con Schleyer non dovevamo rilasciare un lungo comunicato per dire perché avevamo rapito lui e non un altro rappresentante della classe dominante. Come in Italia, è successo anche in Argentina quando i Montoneros hanno rapito un rappresentante della Daimler-Benz. Esigettero il reinserimento di chi aveva subito la serrata e salari più alti. Credo che nelle trattative fosse presente anche Schleyer.

Ma non è facile portare avanti tali azioni, poi guardate la differenza di salario tra un lavoratore della Daimler a Stoccarda e uno a Buenos Aires. Per il momento però la cosa non era stata ancora fissata. La limitazione allo scambio dei prigionieri derivava anche dall’’inasprimento della situazione, nel quale ci muovemmo con la questione dei prigionieri per tutto il 1977.

Raccontaci la vostra drammaturgia. Prima del rapimento Schleyer ci fu l’uccisione di Buback e di Ponto[13]

Buback era il principale “cacciatore di terroristi” col grado più alto ed era responsabile delle loro condizioni carcerarie. Per noi era responsabile anche della morte di Siegfried Hausner, che fece rimpatriare da Stoccolma, nonostante fosse ferito gravemente e rischiasse la vita. Lo vedevamo anche responsabile del braccio morto e le condizioni d’Ulrike Meinhof. Lo volevamo fermare.

Si aggiunge che avevate forti pressioni dai prigionieri di Stammheim come racconta Peter Jürgen Boock.

Non ho voglia di commentare ogni volta le nuove varianti di Boock. Per lui calza bene ciò che Regis Debray ha scritto nel suo libro sull’america latina “Critica delle armi”: “I più grandi militaristi, diventano i più grandi rinnegati”.  Mentre Boock appare come un orso ammaestrato nei Talk show, ci sono altri che non hanno possibilità di fare dichiarazioni, come Brigitte Mohnhaupt che è segregata in una prigione bavarese.

Tu adesso ne hai la possibilità: I prigionieri vi misero sotto pressione?

Se ne può trattare in maniera esauriente solo quando tutti i prigionieri possono dire qualcosa. Boock si riferisce proprio  ad una presunta o reale corrispondenza con quelli di Stammheim che, oltre a  lui, deve conoscere  solo Brigitte Mohnhaupt. Cosa devo aggiungere?? Sicuro che i prigionieri volevano uscire in ogni caso, e questa sensazione di passare con la testa dalle pareti, la conoscono certamente tutti i prigionieri. La questione verte su  quale azione sia moralmente e politicamente sostenibile. Per prima cosa le condizioni hanno esercitato pressione. Inoltre c’era la teoria sul nuovo fascismo che proveniva dalle istituzioni e non necessitava di nessuna base di massa. Entrambe non tornavano. Questa teoria errata che non fu ripetuta a pappagallo solo  dalla RAF, ci portò a limitare la nostra azione ad uno scambio militare di colpi. Allo stesso tempo abbiamo sottovalutato la produzione di mentalità razziste che funzionavano tra alto e basso e che non sono cosa nuova. Il 1977 era anche l’anno nel quale molte associazioni tradizionali delle SS,  tranne alcune proteste del VVN[14], s’incontrarono indisturbate. Perché non abbiamo attaccato loro? Invece di ciò si fecero associazioni spensierate e sconsiderate tra l’isolamento e l’annientamento in galera  ed Auschwitz, che portarono non solo a valutazioni grottescamente sbagliate ed azioni forzate, ma che furono anche meschine nei confronti delle vittime dei campi di concentramento. Le condizioni nei bracci d’isolamento erano già dure di suo, per agire contro di esse non era necessaria nessuna pressione aggiuntiva. Non eravamo nemmeno un gruppo che aspettava ordini da Stammheim. Con tali dichiarazioni qualcuno tenta di eludere   le proprie  responsabilità. Questo non significa che non si sarebbe dovuto criticare quelli di Stammheim. Mi sono spesso domandato cosa sarebbe successo se li avessimo tirati davvero fuori. Allora lo davo per scontato, oggi sono abbastanza scettico.Però   se fossero stati fuori avremmo potuto almeno  criticarli . Il  dolore che non sia stato possibile

rimane fino ad oggi. Allora pensavamo che, se li avessimo tirati fuori, saremmo tornati alla RAF dei primi tempi, agli scopi che già c’erano nella rivolta del  1968. 

Prima hai iniziato a descrivere la dinamica di quel 1976/77. ti sei fermato all’azione di Buback. L’attentato a lui doveva proteggere i prigionieri. Avete raggiunto gli scopi?

No, altrimenti avremmo potuto risparmiarci  l’escalation successiva. Dopo Meins e il giudice Drenkmann, ci fu un’intervista sullo Spiegel, dove quelli di Stammheim hanno chiaramente detto: Se ci sono funerali, dolore, pena e tristezza, che siano da entrambe le parti[15]

Non avreste potuto evitare questo confronto? 

Avrebbe significato che rinunciavamo ai prigionieri e che si dovesse ammettere che

un’azione di liberazione non è più possibile; altre iniziative sono più urgenti. Oggi dico che avremmo dovuto aver più pazienza, per quanto sia difficile anche star a guardare come lo stato si comporta duramente  con prigionieri malati come Helmut Pohl  o Adelheid Schulz. 

Così in breve tempo  avete tirato su l’infrastruttura per sequestrare Schleyer. Come andò? 

Come già detto inizialmente furono diversi gruppi che non erano in relazione con la RAF. 

Così il 77 fu una  formazione successiva o una nuova formazione?

Il concetto di una seconda generazione della RAF non è esatto. C’erano anche persone che erano rimaste fin dai primi tempi, così come gente nuova che diceva partendo dalle proprie esperienze

“ adesso assieme  alla RAF si aprono nuove chance per il futuro.

Le vostre speranze si orientavano al successo del Rapimento Lorenz? O avete pensato che uno così importante come Schleyer lo scambiano in ogni caso? 

Sì avremmo potuto prendere ad esempio i parametri d’azione del  Movimento 2 Giugno.Però anche il sequestro Lorenz cambiò le relazioni di forza. All’inizio prendevamo le mosse dal fatto che solo Schleyer non bastasse per uno scambio. Così, oltre a Schleyer, avrebbe dovuto essere rapito anche Ponto, il capo della Dresdner Bank. Così avremmo avuto in un colpo solo  il  passato bruno (SS) del suo capitale finanziario e Schleyer nel suo ruolo di capo politico, (presidente della confindustria). Pensavamo che ad un tale peso non sarebbero potuti passar sopra. Attraverso le conoscenze di un’allora compagna con la famiglia Ponto[16] il suo rapimento ci apparve l’azione più facile. Come noto andò storto. Ponto finì sparato, perché uno di noi valutò male la situazione. Fu anche sbagliato usare le conoscenze private per qualcosa del genere. Questo ha limitato di molto le nostre possibilità d’esito fin dall’’inizio. La seconda difficoltà fu che all’inizio Schleyer non ha avuto queste guardie del corpo SEK[17]. Queste misure di sicurezza furono istituite dopo la storia di Ponto. Di fronte a queste difficoltà ci siamo posti già scettici di fronte all’azione. In più ci furono 4 morti, l’autista e le tre guardie del corpo. Così l’escalation s’inasprì ed uno scambio era meno verosimile.

“Avevamo paura che ci fossero di nuovo morti in carcere” 

Ma avete osservato Schleyer dettagliatamente, ed aveste dovuto sapere della scorta. 

Sì, lo sapevamo. Quel giorno però ce n’erano 3 invece dei soliti 2. Questo non era prevedibile. Prevedibile era che non gli si poteva dire adesso venite fuori con calma, ma che la cosa sarebbe funzionata solo se li avessimo abbattuti. L’autista lo volevamo risparmiare. Era una scelta comune politica. Ma poi l’azione fu compiuta con la logica militare. Ogni vittima è da rimpiangere da entrambe le parti, ma i poliziotti sono stati abbattuti in combattimento, dopo aver sparato 11 pallottole dai mitra e 3 dalle pistole. L’autista aveva un diploma di sicurezza di fabbrica, ma era disarmato. Per questo io, e non solo, trovo questa morte particolarmente incresciosa. 

Ma nonostante tutti i motivi di scetticismo, non avete pensato a lasciar cadere l’azione?

C’è stata sì questa discussione, ma avevamo paura delle condizioni in carcere, che se

 ci fossero stati  nuovi morti in queste circostanze, noi avremmo potuto far solo resistenza e rattristarci. Cosi ci siamo detti

“ adesso devono poter provare la sensazione che hanno i nostri prigionieri” 

Schleyer l’ha capito? 

Dal video ha avvertito di non risolvere militarmente il problema dei prigionieri. Aveva già capito che i suoi l’avrebbero mollato. Ce ne siamo accorti. 

Così avreste ben presto l’impressione che il governo non avrebbe ceduto alle vostre richieste? 

Sapevamo che si sarebbe visto in pochi giorni cosa avrebbe deciso l’unità di crisi. Per esempio se avessero pubblicato i video e i comunicati che avevamo fatto, sarebbe poi stato difficile negare uno scambio. Avemmo così ben presto i segni che non andava così in fretta. L’azione però non era progettata a lungo termine, volevamo uno scambio veloce. Se non andava, Schleyer doveva essere ammazzato. 

N’avete parlato con Schleyer?

Sì, era chiaro fin dall’inizio, quando si vide che l’unità di crisi cercava nuovi modi per rimandare lo scambio. Cercavano solo di trovarci e liquidarci. Quando trovarono il primo appartamento lo assaltarono senza star a guardare se c’era qualcuno dentro. Questo chiariva il loro atteggiamento. Dovevamo poi riflettere come sarebbe andata avanti, se posticipavamo l’ultimatum e se sì, c’erano   possibilità che aumentasse la pressione in questo caso? Dovevamo decidere di trovare un nuovo nascondiglio. Era la seconda decisione più importante. 

Avevate ancora speranze?

Eravamo dell’idea che se nel fronte unico ci fossero delle contraddizioni, bisognava dargli tempo per agire. Per esempio si doveva lasciar agire le forze del campo dell’industria. Anche Schleyer si è dato da fare, ha scritto ai suoi amici politici. 

Erano idee proprie? 

  Certo. Si nota bene come son cose che noi non avremmo potuto scrivere, per esempio parla di terroristi. Conosceva i suoi amici e la sua classe politica meglio di noi e sapeva dove doveva appoggiarsi. Lui stesso sapeva di non poter mobilitare tutti per uno scambio, ma ha cercato di far sì che i suoi non lo piantassero in asso. Fu una delle esperienze che più lo scossero vedere come con tutto il potere che aveva, era mollato improvvisamente dai suoi amici. Non successe  dall’’inizio ma questa tragedia umana che pian piano si è delineata l’abbiamo percepita anche noi..

È possibile un tale sentimento in una situazione che richiede moltissima determinazione e durezza da parte vostra?

Una situazione del genere nessuno la passa indenne. Con tutto lo sforzo,

nessuno si comporta cosi razionalmente secondo le proprie convinzioni politiche  in una tale situazione.       

Si sono sviluppate situazioni di dialogo tra voi e Schleyer?

Direi solo situazioni di colloquio. Eravamo inadatti a fare i poliziotti da interrogatorio. Non abbiamo neppure giocato a farlo

Non volevamo demotivare Schleyer e sbattergli in faccia la realtà.

Ma avete registrato il suo colloquio su nastro

Certamente avevamo alcune domande politiche mirate, ma erano contrapposizioni. Queste discussioni non erano un interrogatorio. 

Perché non avete lavorato pubblicamente sul passato di Schleyer? 

Fu sicuramente un errore politico, ma non volevamo demotivare Schleyer e d esibirlo perché lui sapeva che l’azione poteva finire mortale per lui. Schleyer non era nè amato nè popolare ed avevamo l’impressione che non sarebbe stato più scambiabile se lo strapazzavamo.

Per questo avevamo accantonato  l’idea di appendergli un cartello con il la sua matricola SS e la scritta: “Prigioniero della propria storia”. A posteriori ha avuto un effetto opposto, per quello che ha detto e scritto ,S. è diventato quasi un padre di famiglia ed una vittima. 

Avevate idea di come trattare l’argomento  del governo che una liberazione avrebbe provocato nuovi reati da parte dei prigionieri liberati una volta in clandestinità. Qualcuno ha pensato a dichiarare pubblicamente di cessare la lotta armata? 

Baader ha fatto una proposta del genere ad un rappresentante del governo. Sapete com’è andata a finire. 

Non avete riflettuto seriamente a collegarvi alla richiesta di Baader? 

Non sapevamo nulla di quest’offerta. Non era stato stabilito se avremmo continuato con la lotta armata in questo modo, ma non volevamo presentare la cosa in questi termini. 

Perché no?

Vedila così. Noi avevamo Schleyer e la controparte non si rendeva solo mobile ma infliggeva il blocco dei contatti, violavano le loro stesse regole. Soprattutto provocano ovunque. Dicono che non fanno nessuna ricerca e presentano nei fatti la più grossa caccia della storia, danno il segnale di caccia per tutti quelli che hanno detto qualcosa di critico contro lo stato, e infine ordinano il blocco delle notizie. In questa situazione che richiede  l’inasprimento se avessimo detto “No non l’avevamo intesa in questo modo, noi volevamo solo aiutare i bambini palestinesi in qualche campo profughi”. Nessuno ci avrebbe creduto. La domanda è se ci sarebbero potute essere iniziative, trovano un punto di partenza sul piano di uno scambio, sul quale si sarebbe potuto dire: Adesso basta, ci sono stati troppi morti, cerchiamo qualcos’altro. Non so dire come avremmo reagito, se avessimo saputo ciò che Baader aveva offerto. Sarebbe stata per lo meno una possibilità di riferirsi a qualcosa. Ma per noi i prigionieri erano spariti per 6 settimane. Non sapevamo ciò che gli stava capitando. Nella nostra fantasia potevamo immaginarci tutte le varianti;  le voci sulla reintroduzione della pena di morte hanno contribuito.

Invece di ciò avete aumentato la pressione. Prima Schleyer ha scritto ai suoi amici politici e poi venne il dirottamento aereo. Fu un offerta dei palestinesi o vi siete rivolti voi ai palestinesi? 

Giunse come offerta. Non so esattamente come, perché non ero con la parte di gruppo che era a Baghdad, ma gli altri ci hanno naturalmente domandato se eravamo d’accordo. 

Non avevate nessun problema con il sequestro di un aereo pieno di villeggianti? I sequestri non erano in contrasto con il concetto della RAF?

Fino allora avevamo visto il sequestro dal punto di vista della causa palestinese, ma non opportuno per portare a termine i nostri propositi in Europa. C’è un documento di quelli di Stammheim nel quale criticano pesantemente  i dirottamenti aerei dopo Entebbe. Il punto critico era la partecipazione di due membri delle RZ tedesche ad un’azione contro Israele, paese di fuga dopo l’olocausto. Ma nel documento si chiarisce che si deve valutare in maniera differente se un aereo tedesco è dirottato. Dopo un lungo dibattito fu un punto decisivo per la nostra risoluzione, perché i prigionieri avevano lasciato aperta questa questione e noi avevamo la sensazione di non andare contro i loro interessi. Non avremmo agito in nessun caso contro il volere dei prigionieri.

Quindi è stata una vostra iniziativa. La vostra gente, Boock e gli altri, hanno detto ai palestinesi

“ci dovete aiutare, da soli non possiamo più andare avanti”?

No. Sicuramente non andò così. Al riguardo devo descrivere   esattamente, come era la nostra collaborazione con i palestinesi. I palestinesi avevano propri  interessi ad un’azione del genere. Anche per loro era importante che i prigionieri uscissero, c’erano anche due palestinesi detenuti in Turchia nella lista, ma c’era tutto un altro retroscena per loro. Si sono detti: un paese come la RFT, il paese più importante in Europa è coinvolto in un confronto a cui tutto il mondo guarda, così possiamo realizzare le nostre richieste. Nel campo profughi di Tel al  Zataar[18] a Beirut i siriani erano giunti in aiuto dei falangisti, quando questi massacrarono 6000 palestinesi. La frazione all’interno della resistenza palestinese che ha sequestrato il Landshut[19] voleva impedire in questa situazionela Siria o un altro paese arabo si unissero ad Israele ai costi dei palestinesi. In questo conflitto fummo coinvolti anche in riferimento alla storia tedesca nei confronti di Israele.

Non vi era chiaro,  cosa significa che 80 villeggianti siano uccisi in un dirottamento? 

Non vuol essere una scusa di certo, ma ci siamo ispirati ai dirottamenti di Leila Kahled, il cui libro[20] circolava già da tempo come testo di culto nelle librerie di sinistra. Era un problema per noi mettere Schleyer ed i villeggianti di Maiorca sullo stesso piano. In questa situazione speciale, nella dinamica che si è sviluppata questa offerta poteva essere la soluzione. Siamo partiti dal presupposto che il governo federale a causa del sequestro aereo dicesse: ok siamo rimasti duri con Schleyer, ma adesso non possiamo più farlo, dobbiamo cedere allo scambio.

In quest’atteggiamento si nascondeva una grottesca contraddizione. Da un lato abbiamo creduto chela RFTsi trovasse in uno sviluppo verso il fascismo ed abbiamo perciò reputato la classe politica capace di tutto. Ma proprio in questo punto, non abbiamo preso sul serio la nostra analisi e ci siamo detti: adesso devono scambiare, non possono più permettersi una svolta del genere. Perché no, di grazia? Non ci siamo assunti le responsabilità, perché pensavamo che avessero ceduto.  Ma per noi la soluzione sarebbe stata: Schleyer non è ammazzato ed i prigionieri li liberano.

Dopo il sequestro del Landshut, credevamo ad uno scambio.

Avete creduto che le 80 persone non fossero in pericolo?

Pensammo che molto probabilmente sono scambiati. Ma siamo partiti da premesse sbagliate. L’azione è andata in modo diverso da come progettata. Il sequestro doveva finire nello Yemen del Sud. La il GSG9 non sarebbe arrivato mai all’apparecchio senza trovarsi le armi puntate di tutto il paese e del blocco orientale. Il governo federale avrebbe dovuto trattare.

Perché è andata storta a Aden?

Da come conoscevo la situazione a Aden, la DDR o l’Unione Sovietica, si sono interessate affinché l’aereo non rimanesse là. Questa decisione non è stata presa solo a Aden. Loro avevano tutto un altro atteggiamento nei confronti dei palestinesi, non li avrebbero mai mandati in Somalia. 

Avevate dai palestinesi la sicurezza che la possibilità di 80 morti non si realizzasse in nessun caso?Non vi siete domandati cosa facciamo come gruppo politico se per quest’azione sono uccisi 80 villeggianti?

Sapevamo che i palestinesi erano consapevoli di com’compiere i sequestri aerei. Se avessimo saputo l’esito non avremmo acconsentito. Ma abbiamo pensato solo al buon caso, alla soluzione politica. 

Il vostro era un pensiero unanime? 

Si, era una valutazione comune. Pensavamo al successo che aveva avuto l’Armata Rossa Giapponese quasi nello stesso momento[21]. D’altra parte qui  non si è mosso nulla. Non parlo solo dell’unità di crisi, il governo federale, ma qualche  altra iniziativa, istanze morali o altri gruppi di sinistra non hanno preso per niente parola. Abbiamo vistola Germania solo dal punto di vista dei “dannati della  terra”. 

Vi sareste arresi se un opinione pubblica critica in questo momento vi avesse detto”Lasciate libero Schleyer, salvate gli ostaggi del Landshut”? 

Allora c’era questa dissociazione forzata. Se all’interno della sinistra si fosse arrivati ad una posizione indipendente, certamente. Ma non ci si presentò davanti quest’alternativa.

Avete creduto che allora ci fosse sostegno alle richieste di liberazione dei prigionieri. ? 

Effettivamente sì. Non facemmo il conto con il blocco delle notizie. Fu una situazione con la quale ci trovammo alle strette. Non abbiamo più visto i riferimenti. 

N’avete sentito la mancanza?Non vi ci siete ritrovati? Non n’avevate? riferimenti).

Che significa “sentire la mancanza” ?Avevamo pensato che dopo il sequestro anche altri si fossero fatti sentire Il nostro piano non si reggeva su questo.

Con quanta gente avete effettivamente discusso. Le discussioni erano prese da due o tre persone, oppure hanno  discusso tutti quelli che hanno partecipato al sequestro?

C’erano delle situazioni alle quali non tutti erano presenti. Si riunivano persone con esperienze differenti, ma tutti erano resi partecipi, secondo le possibilità, alle decisioni. Non conosco nessuno che allora si sia lamentato di non essere stato incluso nelle discussioni. 

Avete raggiunto una reazione anche dalla sinistra?

Non era questo il punto. L’azione si doveva risolvere in un paio di giorni. In questa situazione

 è impossibile discutere pubblicamente. Dopo poi era anche  difficile. Se avessimo redatto un documento per la sinistra non gli sarebbe arrivato. Se chi lo riceveva non lo consegnava subito alla polizia, finiva in galera. 

C’era la possibilità di comunicare attraverso il giornale “ Liberation”

Forse. Non ne sono così sicuro  se in questa situazione un dibattito con la sinistra sarebbe stato possibile. Di fatto non ci fu né da parte nostra nè della sinistra un tentativo del genere. La storia è com’è e noi tutti dobbiamo assumercene le responsabilità. A mia vergogna devo dire che anch’io mi sono reso conto più tardi, solo all’inizio del mio processo quando ho iniziato a vedere la cosa da un altro punto di vista, che avremmo dovuto rendere molto più chiaro perché prendevamo proprio Schleyer. Avremmo dovuto fare delle richieste che andavano in un’altra direzione. Sarebbe stato    giusto richiedere chela Daimler Benzaprisse gli archivi sui lavoratori coatti e che il complesso industriale pagasse i danni ai lavoratori coatti. Avremmo potuto dire, sulla questione dei prigionieri c’è solo un confronto mortale, ma su un altro terreno ci ritorniamo sul perché proprio lui. Da una tale posizione sarebbe stato forse possibile un’altra fine e trovare per Schleyer una soluzione umana.

N’avete parlato in gruppo?

Abbiamo solo parlato, quando possibile, delle conseguenze di quest’azione. A posteriori devo dire che non abbiamo provato nulla per rompere il corso forzato della cosa. Ma allora nessuno era pronto a fare una concessione del genere. Ciò avrebbe significato che ciò che abbiamo visto dopo, l’avremmo anticipato /precorso. Avremmo dovuto dire: la lotta armata così come si è svolta non funziona.

Nel comunicato era chiaro che se loro non uscivano, Schleyer sarebbe stato giustiziato. Ma una cosa sono i comunicati e un’altra è ciò che succede realmente.

Ci siamo comportati anche  diversamente dal comunicato. Siamo stati criticati dagli altri gruppi, perchè non abbiamo terminato l’azione sparando a Schleyer. Ci hanno detto “ dal momento che esitate e date adito alla tattica temporeggiatrice del governo rendete impossibile essere presi sul serio nel caso di successivi tentativi di liberazione dei prigionieri.

Ci fu poi una cesura, un momento nel quale la spirale di minacce reciproche alterne fu terminata. Fu dopo il 18 ottobre. L’aereo a Mogadiscio fu assaltato, gli ostaggi liberati, tre palestinesi ammazzati ed i prigionieri a Stammheim erano morti. Perché non potevate mollare e rimandare Schleyer a casa? 

Ciò avrebbe significato da parte nostra che confermavamo e legittimavamo la politica dell’unità di crisi. Un rilascio senza adempimento delle condizioni, non sarebbe stato inteso come gesto umano, ma come ammissione della sconfitta, come completo successo dell’unità di crisi, secondo il motto “la durezza paga”. Con il senno d’oggi vedo le nostre chance mancate, e le possibilità d’intervento politico che avrebbero potuto spianare il ritorno a casa di Schleyer.

Avevate riflettuto qualcosa, c’erano delle linee di compromesso, per es. che siano rilasciati meno prigionieri, miglioramenti del regime carcerario ed il riconoscimento che si tratta di prigionieri politici?

Se nell’’allora situazione la proposta d’Andreas, di un ritiro dei prigionieri avesse sortito una risposta, se ci fosse stato un qualunque segno d’accettazione politica, per esempio se fosse stata offerta una commissione internazionale, allora avremmo naturalmente reagito, allora sarebbe stato impensabile per noi attaccarci alle richieste iniziali e sparare a Schleyer. Ci si può rimproverare molte cose, ma non che ignorassimo l’interesse dei prigionieri.

“Un compromesso era da parte nostra possibile”

Che ruolo ha avuto che conosceste Schleyer per 6 settimane?

Naturalmente ha giocato un ruolo, era allo stesso tempo compassionevole e banale, come per chi teme per la propria vita. Ma per noi Schleyer non era solo uno che ha famiglia. Schleyer si è forse preoccupato dei lavoratori imprigionati?

Schleyer non ha mai deplorato seriamente il suo ruolo nel protettorato di Boemia e Moravia, era responsabile delle SS per l’integrazione delle industrie ceche nell’’economia di guerra tedesca, il suo ufficio distava appena60 kmdal campo di concentramento di Terezin, campo di smistamento verso Auschwitz. Inoltre il governo federale ha impedito la trasmissione nel quale Schleyer stesso si appellava agli aspetti umani. Non ha neppure fatto parlare i prigionieri, perché sarebbe stata resa nota l’offerta di Baader e i prigionieri avrebbero avuto un’altra immagine nell’’opinione pubblica. Anche loro avevano amici e famiglia che avrebbero rivisto volentieri. Ma i punti di vista umani sono stati consapevolmente oscurati dall’’unità di crisi. Nella logica dell’azione anche la fine amara dell’azione era conseguente.

 Ma per i nostri scopi umani e politici fu un disastro.

Fummo così terribilmente coerenti e conseguenti, quando sarebbe stato il caso di   mostrare forza umana e generosità e fummo politicamente così poco radicali, così inoffensivi, quando si trattò di rovesciare le condizioni sociali e farle vacillare. 

Stefan Wisniewsi è stato fino al suo licenziamento del 1981 , artista part time nella RAF. Poi il carcere ed oggi è artista di sopravvivenza con il salario sociale(..). da ricordare anche la sua intervista con Klaus Viehmann “Nei confronti della sinistra lo stato non dimentica nulla”.

Politicamente partecipa alla lotta sociale e fa parte della sinistra radicale, al lavoro di formazione antifascista ed antirazzista e contro la vecchia e nuova industria carceraria. Ha svolto anche molti incontri di riflessione /critica sulla lotta armata degli anni 70. Pensa che il mantenimento delle tradizioni come il 48°G. a Pfingsten a Mittenwald (corporazione di vecchi e nuovi arnesi fascisti e affini dell’esercito) siano attaccabili e da subito.

NOTE

[1] Teste di cuoio tedesche

[2]Nota all’edizione tedesca: Prima edizione spagnola “ Fuimos tan teriblemente consecuentes ” Virus Editorial, Barcelona 1997 assieme a “La guerrilla urbana ahora è historia”. Comunicato di dissoluzione della RAF.

[3] Meinhof †♀9-5-76, Holger meins 9/11/74 Katherina Hammerschmidt ? 1974, Siegfried Hausner 29? //4/1976

[4] Stefan Wisniewski: Prozesserklarung. Autoprodotto in edizione clandestina 1981

[5] Letteralmente nuova patria =cooperativa edilizia appartenente alla DGB (il sindacato maggioritario tedesco).

[6] Editore che possedeva numerose testate giornalistiche ed autore di campagne d’odio verso i movimenti di contestazione, gli omosessuali ecc.

[7] Nome dialettale perla Kürfurstendamm (Via dei principi elettori) noto viale chic di Berlino ovest.

[8] Tote Briefkaste = era il modo per comunicare cospirativamente. In alcuni vecchi caseggiati erano state aggiunte delle cassette della posta da utilizzare per lo scambio messaggi.

[9] Domanda sulle dichiarazioni di Gabi Rollnik.

[10] Lorenz era il presidente della CDU berlinese. Fu sequestrato dal Movimento 2 Giugno dal 28/2 al 4/3/75 e rilasciato in cambio della liberazione di 5 (il sesto si rifiutò) prigionieri politici che furono spediti nello Yemen del Sud.

[11] Rispettivamente “Cellule rivoluzionarie” e “Zora la rossa” (gruppo  nato dalle RZ e che prende il nome da una celebre novella tedesca.). si trova solo documentazione frammentaria in italiano.

[12] Rispettivamente federazione industrie tedesche e associazione industriali tedeschi.

[13] Rispettivamente procuratore federale eliminato il 7/4/77 e presidente della Dresdner Bank ucciso in un tentativo di sequestro il 30/7/77

[14] Verband des Verfolgtes des Naziregimes. Associazione dei perseguitati dal regime nazista.

[15] Spiegel 1975 in RAF “la guerriglia nella metropoli”. Bertani Verona 1979

[16] Si tratta di Susanne Albrecht, poi fuoriuscita dalla RAF ed esule nella DDR. Fu arrestata dopo la caduta del muro , facendo dichiarazioni delatorie all’autorità , ottenendo uno sconto di pena.

[17] SonderEinsazKommando= comando azioni speciali

[18]Lett “Le colline del timo” . Campo profughi teatro di una strage di palestinesi (numero incerto tra i 1500 e 4000 il 12 Agosto  1976 ad opera di falangisti e Siriani,

[19] Nome dell’aereo di linea Maiorca Francoforte sequestrato il 13/10/77 ed assaltato dalle truppe tedesche il 18 ottobre.

 Leila Kahled: My People shall live. The autobiograpy of a revolutionary. London Hodder and Stoughton 1973. uscito nello stesso anno in edizione francese.

[21] 27 Settembre 1977.                                                                        

  * traduzione a cura di Sergio Rossi
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