«Tot promesse, tot rivolte»
La rivolta in carcere ha unificato il paese. Crollati i luoghi comuni sulle specificità territoriali del carcere, spazzate via le presunte «differenze culturali», ora la lotta è una sola, un unico obiettivo da raggiungere: cambiare radicalmente il carcere, fino alla sua distruzione. Un solo nemico, il governo e l’apparato statale che usano un solo linguaggio: la repressione. La nostra risposta: la rivolta. Il 15 aprile 1969 un telegramma del Ministro di Giustizia, Antonio Gava, indirizzato agli ispettorati perché lo inoltrino alle direzioni delle carceri, disponeva «assoluto divieto rilascio qualsiasi dichiarazione stampa et ogni altro organo informazione da parte personale civile et militare dipendente questa amministrazione». Il governo sceglie quindi ancora una volta la linea dell’isolamento della protesta, ignorandone i motivi. Una settimana dopo la Direzione Generale Degli Istituti Prevenzione e Pena comunicava per telefono all’ispettorato distrettuale di Firenze che «i parlamentari non possono indagare in merito ai recenti episodi di indisciplina».
…e la rivolta continua…
Giancarlo Delpadrone morì sul tetto delle Murate di Firenze, fulminato da una raffica di mitra ed altri furono feriti. Il quartiere insorse e qualcuno voleva svaligiare una armeria lì vicina per pareggiare il conto, ma furono scoraggiati dai compagnucci di un circolino paracomunista del quartiere. Purtroppo quella sera c’era il blocco delle auto per la benzina, altrimenti qualcuno avrebbe potuto trovare qualche “ferro” e regolare il conto. Morale: occorre ricreare tutti i presupposti per un intervento concreto, altrimenti…sono tutte canzonette. A pugno chiuso ci sarò finchè campo e loro lo sanno. Gianni
Pingback: 1971 il “proletariato prigioniero” si propone come soggetto sociale della trasformazione sociale | contromaelstrom